Goal 12: serve superare la logica del solo profitto e sensibilizzare i cittadini
All’evento nazionale si è riflettuto sulla necessità di maggiore trasparenza informativa e sinergia produttori-consumatori. Gli strumenti legislativi ci sono, ma vanno rinforzati e accompagnati da scelte d’acquisto più consapevoli. 11/10/21
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“Impatto ambientale e sociale al centro della logica della produzione vuole dire che i modelli produttivi devono essere incentrati sul benessere delle persone nel rispetto dell’ambiente. In questo modo l’economia cambia profondamente”. Così Valentino Bobbio, coordinatore del Gruppo di lavoro ASviS sul Goal 12 dell’Agenda 2030 (Consumo e produzione responsabili), ha aperto i lavori dell’evento nazionale “Sistemi interattivi: fare “rete” dopo la pandemia per produzioni e consumi responsabili”, tenutosi l’8 ottobre presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma e in diretta streaming, nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile. L’incontro, che ha avuto come Tutor Camst e Granarolo, è stato organizzato dal Gruppo di lavoro dell’Alleanza sul Goal 12, autore anche del Position paper su “Produzione, consumo e finanza responsabili” che è stato pubblicato per l’occasione. Il documento, partendo da una sintesi di normative ed esperienze, avanza proposte operative per il contesto italiano.
Nel presentare alcuni dati relativi all’Obiettivo 12 riportati nel Rapporto ASviS 2021, pubblicato il 28 settembre scorso, Bobbio ha illustrato come l’Italia sia ai primi posti in Europa in termini di economia circolare, ma anche che servono politiche più incisive per raggiungere i target prefissati a livello internazionale. Alcune delle proposte dell’ASviS sul tema: porre l’impatto ambientale e sociale al centro dei modelli produttivi; introdurre sempre più nel mercato materie prime seconde e materiali da fonti rinnovabili; sensibilizzare maggiormente i consumatori sul loro potere di mercato; rafforzare il green e social public procurement per canalizzare investimenti più sostenibili. “Questi obiettivi richiedono un cambiamento di mentalità e di cultura e nuove capacità di gestione [da parte di chi fa impresa, ndr], ma serve anche una spinta dal basso.”
La sfida di cambiare facendo rete. Il primo panel, moderato da Eleonora Rizzuto, co-coordinatrice del Gruppo di lavoro ASviS sul Goal 12, è stato dedicato alla presentazione di alcune buone pratiche di organizzazioni che sono riuscite a creare sinergie virtuose con il territorio e i propri stakeholder di riferimento, nell’ottica del consumo e della produzione responsabili. Gianpiero Calzolari, in qualità di presidente di Granarolo, ha raccontato la sfida che la cooperativa si trova ad affrontare nel cercare di “tenere in vita” le imprese zootecniche, in questa fase di transizione ecologica, e al contempo aiutarle a mitigare l’impatto che esse producono. “Sono più di 700 gli allevamenti che abbiamo in tutto il Paese, abbiamo deciso di accompagnarli in questo processo di trasformazione”. Calzolari ha ribadito l’impegno dell’organizzazione a ridurre anche l’uso di fitofarmaci, nonché di acqua e di energia, ma senza negare la difficoltà di trasferire al consumatore queste informazioni attraverso il prodotto finito.
Necessario coinvolgere l’intera filiera. A seguire Francesco Malaguti, presidente di Camst, azienda che si occupa di ristorazione collettiva, ha illustrato come l’impresa, partecipando agli appalti soprattutto nell’ambito della ristorazione scolastica, indirizzi la propria filiera verso scelte consapevoli e responsabili. Non solo coinvolgendo i fornitori, ma anche formando studenti, genitori e insegnanti. Questa responsabilità si è tradotta n tre progetti: uno portato avanti con l’università di Bologna per studiare un menù in termini di C02, ovvero di impatto ambientale anziché solo di calorie; un portale interno in cui tutti i dipendenti di Camst (circa 12mila) possono depositare attrezzature inutilizzate per metterle a disposizione di altre sedi, in un’ottica di circolarità e sensibilizzazione dei lavoratori; infine, uno studio condotto con l’Istituto Sant’Anna di Pisa, per migliorare l’impatto dell’intero processo ristorativo, dallo smaltimento al packaging e non solo.
Incentivare chi fa sistema. Vincenzo Durante di Invitalia ha invece spiegato come l’agenzia - che ha come mission quella di gestire investimenti per imprese nascenti -, guardando alla crescente necessità del fare rete, abbia creato un complesso network che le consente non solo di affiancare start-up innovative, ma anche di tenere aperto un tavolo di confronto permanente e di open innovation su alcuni ambiti tematici, tra cui quello dell’impresa sociale. Punto focale della strategia è quello di premiare imprese che a loro volta sono in grado di fare sistema aperto, ad esempio, sul tema della produzione responsabile. In particolare, “Italia economia sociale” è una misura, che finanzia esclusivamente imprese sociali e della filiera creativo-cultura, in cui la misurazione dell’impatto socio-ambientale è uno dei criteri di valutazione con la stessa dignità degli altri criteri; inoltre, la misura premia i ‘progetti a grappolo’, ovvero quelli che presuppongono che più soggetti si mettano insieme per avviare progetti congiunti e alimentare uno scambio di know-how, rispondendo al contempo a diverse esigenze, anche in un’ottica di sinergia e riequilibrio tra Nord e Sud.
Far incontrare imprese e consumatori. “Il consumatore quando può, è disposto a spendere qualcosa di più per i prodotti sostenibili”. Queste le parole di Sergio Veroli, presidente di Consumers’ Forum, che ha parlato della necessità di creare condizioni migliori, in termini di salari e informazioni, per far sì che i consumatori possano fare scelte di acquisto più responsabili. “Sulle aziende, dopo un primo momento in cui c’era una tendenza al puro greenwashing, posso dire che ora hanno iniziato a fare sul serio. Perché hanno capito che, investendo in sostenibilità, risparmiano energia, risparmiano prodotti e quindi hanno un guadagno a lungo termine”. Veroli ha poi raccontato come l’associazione abbia elaborato un manifesto di sostenibilità consumeristica. “Facciamo incontrare le associazioni con le aziende, le aziende ci fanno conoscere la produzione, poi c’è un confronto sulle criticità. Questo crea una cultura migliore, un clima di confronto costruttivo. In alcuni casi facciamo anche ‘protocolli di sostenibilità’, come è avvenuto ad esempio con Edison e Federfarma”.
Il lavoro al centro. Mirella Novelli del sindacato Uil, nel corso del suo intervento, ha posto l’accento sulla centralità del lavoro quale leva imprescindibile per creare benessere e quindi per realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile sul territorio. Ha sottolineato come il lavoro oggi non sia sufficientemente tutelato perché la sicurezza e la formazione sono considerati dalle imprese ancora come dei costi. “Fare rete per noi significa perseguire l’Agenda 2030, per questo cerchiamo di essere presenti e capillari sui territori, per ridurre le disuguaglianze e affermare il diritto di essere comunità. Questa è la nostra missione”.
La psicologia della “cooperazione”. Il secondo panel su consumo responsabile e scelte delle future generazioni, ha visto la partecipazione di Monica Rivelli, Fondazione per l’educazione finanziaria e al risparmio (FEduF), che ha spiegato l’impegno dell’organizzazione sulla “cittadinanza economica”, che si traduce nell’educare ragazzi e ragazze a fare scelte di consumo e di risparmio consapevoli. Feduf opera sia attraverso la didattica tradizionale, ma anche con metodi innovativi. Ne è un esempio la collaborazione con i divulgatori di “Taxi 1729” che, attraverso la voce di Diego Rizzuto, hanno illustrato - mettendo in atto un gioco interattivo basato su ricerche scientifiche di psicologia cognitivo-comportamentale - come gli esseri umani, di fronte al “dilemma sociale” di dover scegliere tra l’interesse personale e quello generale, siano portati a cooperare almeno nel 50% dei casi, di fatto negando l’assunto dell’economia classica secondo il quale l’uomo è sempre portato a perseguire il suo esclusivo interesse.
Il terzo e ultimo panel “Scoprire e superare il green e social washing” è stato condotto da Donato Speroni, responsabile del progetto Futuranetwork dell’ASviS, il quale, ragionando sul tema della produzione e del consumo responsabile in termini di dati, ha messo in luce come i trend della Banca mondiale prevedano che la popolazione appartenente alla classe media che oggi si attesta sui due miliardi, fra vent’anni possa arrivare a cinque. “Questo cambiamento, se da una parte porterebbe a una notevole riduzione della povertà dall’altra rappresenterebbe una sfida per l’aumento dei consumi. Ad esempio vent’anni fa in Cina il consumo annuale di carne di maiale procapite era di 5 kg, oggi siamo a 50” – ha ricordato Speroni. Inoltre, sebbene i cittadini inizino a essere sensibilizzati su questi temi e la parola sostenibilità stia diventando sempre più di uso comune, “c’è sempre più il rischio di greenwashing, ovvero di non riuscire a distinguere quella che è la reale incidenza di certi comportamenti e ciò che è pura apparenza”.
Il ruolo dei media. “Secondo me una crescente sensibilità su questi temi, c’è. [..] Ma dobbiamo raccontarlo meglio e studiarlo meglio”. Così Andrea Vianello, direttore di Rai News 24, ha evidenziato l’importante ruolo che il giornalismo può e deve rivestire nel diffondere il messaggio che “le abitudini si possono cambiare, come il trauma della pandemia ci ha insegnato”. Proseguendo nel suo intervento, Vianello ha sottolineato però come sia necessario che “il pubblico e il privato su questo facciano rete, perché anche i consumatori più illuminati devono poter essere messi nelle condizioni di scegliere”. Infine, citando Greta e gli altri giovani attivisti che hanno animato le proteste per il clima a Milano, ha osservato come la politica non abbia ancora colto l’urgenza dei temi ambientali.
Più agevolazioni, meno tassazione. A seguire, la parola è passata a Pietro Bracco, fiscalista e adjunct professor della Luiss Business school, che ha parlato di fiscalità ambientale richiamando il vecchio concetto del “chi inquina paga”, contrapposto al principio dell’agevolazione, che invece accompagna il cambiamento, come ad esempio è avvenuto con il bonus del 110%. “Lo Stato deve accompagnare prima le aziende con le agevolazioni e poi, da un certo punto in poi, chi inquina paga. Così le imprese non faranno greenwashing perché dovranno adeguarsi e lo Stato non rischierà di schiacciare le imprese con una tassazione troppo alta. Questo bilanciamento è fondamentale”. Su questa linea Bracco ha proseguito spiegando come i profili fiscali previsti dal Green New Deal - da un lato la carbon tax sulle importazioni, in base alla CO2 emessa, dall’altro il principio meno inquino, meno pago - “non siano strumenti sufficienti per affrontare la transizione energetica. Serve un mix di misure tra l’aiuto e la penalizzazione per chi non ha seguito la strada virtuosa”. Per quanto riguarda invece il reporting non finanziario “penso sia uno strumento molto utile” – ha dichiarato Bracco, “ma non si possono caricare di troppi oneri le piccole e medie imprese che da sole non sono in grado di farlo. [..] Andrebbe estesa ma in maniera semplificata e graduale”.
Filiere agricole e disuguaglianze. “La Banca mondiale stima che l’80% dei poveri sia impiegato nel settore agricolo”. È con queste parole che Benedetta Frare, di Fairtrade Italia, mette in luce il rapporto tra disuguaglianze e povertà nelle filiere produttive, spiegando come dalla povertà si generino continue violazioni dei diritti umani che hanno a che vedere con il lavoro minorile, con l’assenza di un salario dignitoso per i lavoratori, l’accesso all’istruzione e il diritto alla proprietà della terra negati alle donne, ma anche il fenomeno delle migrazioni. Richiamando la responsabilità delle imprese nel perpetrare la violazione di tali diritti, Frare ha dichiarato che per scongiurare il rischio di greenwashing anche nel mercato dell’equo e solidale, “ci siamo resi conto che non basta lavorare sul prodotto finito ma serve intervenire sull’intera filiera. […] La nuova direttiva europea sulla due diligence che obbliga le aziende a monitorare l’impatto sociale e ambientale sulle loro filiere e ad attivare dei processi di rimedio è una buona strada da percorrere”.
Una rete contro l’insicurezza alimentare. L’ultimo intervento del panel è stato quello di Marco Lucchini, della Fondazione Banco alimentare, che ha raccontato come la missione della fondazione sia quella “di sostenere il lavoro delle associazioni che ogni giorno hanno a che fare con persone che vivono in regime di insicurezza alimentare” cercando “di coniugare il paradosso della mancanza con il paradosso dell’abbondanza (con da un lato il non avere il minimo per sfamarsi e dall’altro lo spreco)”. Al centro della strategia c’è quindi il proposito di creare un ponte per ridurre lo spreco alimentare, soprattutto di prodotti agricoli e di allevamento, per loro natura difficilmente calcolabili e più condizionati da fattori esterni. Lucchini ha ricordato come negli ultimi anni ci sia stata una tendenza positiva del recupero delle eccedenze nei 70 Paesi dove l’organizzazione opera, grazie al coinvolgimento delle imprese sia della ristorazione che della grande distribuzione, ma anche le difficoltà logistiche che il Banco si trova ad affrontare per trasportare i prodotti e per coinvolgere le imprese italiane. “In realtà ci sono tanti strumenti anche legislativi per mettere in campo queste azioni, ma in Italia c’è poca informazione e formazione”.
Le conclusioni dell’evento sono state affidate a Marcella Mallen, presidente dell’ASviS, che ha richiamato i due fili conduttori dell’incontro, quello del “fare rete” e quello del green e social washing. “La pandemia ha portato a una contrazione dell’impronta ecologica, ma la vera sostenibilità deve essere raggiunta attraverso la programmazione e l’ingegno umano, non attraverso l’urgenza e la tragedia. Dobbiamo poterci muovere dentro ‘uno spazio operativo sicuro’. [..]Un elemento di ottimismo è rappresentato dal Next generation Eu che sta frenando le spinte per un ritorno al modello di produzione economica pre-pandemico”. Ricordando quanto sia fondamentale il coinvolgimento di tutti gli attori presenti nelle filiere - imprese e consumatori- e quindi la necessità di fare rete, la presidente ha voluto sottolineare come l’aumento dell’attenzione alla sostenibilità comporti però la necessità di distinguere tra facciata e concretezza per scongiurare il green e social washing. Nel corso dell’evento “è emersa anche la convinzione delle imprese a non guardare più solo al profitto, ma anche ai diritti e al benessere di tutti gli stakeholder. [...] E questo vale anche per i consumatori che hanno il dovere di approfondire le loro conoscenze per rendersi conto se le imprese fanno sul serio. Si è capito che la sostenibilità è un sistema complesso e che va superata la logica dei due tempi, ovvero l’idea che prima si pensa alla ripresa economica e poi agli impatti sociali.”
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di Elita Viola