Sviluppo rigenerativo e benessere umano: insieme per la salute del futuro
Rafforzare la salute delle comunità, agire sulle disuguaglianze inasprite dalla pandemia, promuovere la salute e intervenire a livello globale: queste le principali proposte emerse nell’evento nazionale dell’ASviS sul Goal 3. 20/10/21
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Si è tenuto il 13 ottobre presso l’Auditorium del Palazzo delle Esposizioni di Roma e in diretta streaming l’evento nazionale organizzato dal Gruppo di lavoro dell’ASviS sul Goal 3 “Salute e benessere”, in collaborazione con Viatris in qualità di Tutor, dal titolo “Sviluppo generativo e benessere umano. Insieme per la salute del futuro”. L’evento, strutturato in tre macro sessioni dedicate alla salute delle comunità, alle condizioni di vulnerabilità e alla salute globale, è stata un’occasione per riflettere sull’impatto della pandemia sul Goal 3 e sugli altri Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) dell’Agenda 2030, e per proporre le giuste azioni da intraprendere per mettere le persone e la loro salute al centro del processo di ripresa dell’Italia e del mondo. In occasione dell’incontro è stato diffuso il manifesto “Insieme per la salute del futuro”, che individua le aree su cui intervenire e avanza alcune proposte.
In apertura dell’evento, Fabio Torriglia, Country Manager di Viatris, ha dichiarato: “crediamo nella sanità non così com’è, ma come dovrebbe essere”. L’obiettivo di Viatris, ha spiegato Torriglia, è di consentire alle persone del mondo di vivere una vita più sana in ogni sua fase, attraverso l’accesso ai farmaci. Nella convinzione che le aziende possano davvero fare la differenza, lavorando per la salute dei pazienti, dei collaboratori e dell’ambiente, nonché sulla salute della comunità e la salute pubblica globale - ha concluso Torriglia -, Viatris si impegna per creare un cambiamento positivo e duraturo e per supportare concretamente gli Obiettivi dell’Agenda Onu 2030.
A prendere poi la parola è stata Laura Berti, giornalista e curatrice Tg2 Medicina 33 e moderatrice dell’evento, che ha esordito notando come la pandemia, pur avendo messo indubbiamente a dura prova il raggiungimento degli SDGs, rappresenti anche un’importante occasione: ha esacerbato così fortemente le disuguaglianze già esistenti - ha detto Berti - che non potremo più girare la testa dall’altra parte.
Walter Ricciardi, professore di Igiene e sanità presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e consigliere del ministro della Salute per la pandemia, ha rassicurato sull’attuale situazione dell’Italia in termini di copertura vaccinale e di pressione sugli ospedali, dichiarando come d’altra parte in altri Paesi la situazione sia ancora molto critica. L’iniziativa frammentaria delle singole nazioni – ha spiegato Ricciardi - deve lasciare spazio a un trattato pandemico globale, oggi sostenuto da 26 Paesi, tra i quali l’Italia, Paese in prima fila nella considerazione del vaccino come bene globale. Storicamente – ha notato Ricciardi -, l’Italia è diseguale sotto molti aspetti: l’aspettativa di vita, l’accesso ai servizi, la prevenzione. Le premesse per un miglioramento, pur presenti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) negli investimenti che finanzieranno ospedali e case di comunità, attrezzature e trasformazione digitale, non bastano: va tenuto in debito conto il problema della carenza di personale, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, della formazione. In particolare, ha sottolineato Ricciardi, nella Nadef (Nota di aggiornamento al Def) sono stati stanziati per il 2023 molti meno fondi rispetto all’epoca pre-pandemica. Ne deriva che “la pandemia ci ha dato una lezione in termini di impatto, ma non di scelte”. Oltre alla stipula di un trattato pandemico internazionale, fondamentale per obbligare i Paesi ad agire in modo adeguato, è necessario rafforzare, nonché rendere più trasparente e performante l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), e sospendere temporaneamente i brevetti e la proprietà intellettuale, aiutando altresì i Paesi poveri a produrre il vaccino. “Se non si farà questo” – ha concluso Ricciardi – “avremo aziende che faranno molti soldi e una pandemia che non si fermerà”. Ricciardi ha richiamato inoltre la necessità di definire piani strategici in grado di affrontare il problema del divario con il Sud, in particolare della mancanza di capitale umano e di specialisti e della difficoltà di erogare le prestazioni. Da questo punto di vista, il fatto che in Italia la Costituzione affidi le decisioni in modo esclusivo alle Regioni non aiuta: per questo – ha detto Ricciardi – sarebbe opportuno dare la possibilità allo Stato centrale di intervenire maggiormente, dal momento che anche le Regioni della parte più ricca del Paese hanno registrato livelli incredibili di mortalità durante il periodo pandemico. I cittadini – ha concluso Ricciardi - non si rendono conto di questa priorità, non scendono in piazza per la sanità, perché molto spesso la malattia si vive a livello individuale e familiare e non è elemento aggregante.
A introdurre la prima sessione dell’evento “Comunità rigeneranti” è stato Lucio Maciocia, della Società italiana di promozione della salute (Sips) Lazio, con un intervento dal titolo “Ri-generare il desiderio di salute di comunità”. La solidarietà – ha notato Maciocia – ha funzionato nella prima fase della pandemia, lasciando poi spazio a paure e difficoltà troppo spesso vissute nell’isolamento e nella solitudine. Dal punto di vista della salute mentale, sentirsi parte di una comunità è un fattore di protezione molto importante. Ne deriva l’importanza di creare reti di solidarietà, di lavorare insieme al terzo settore, di entrare in contatto con i servizi socio-assistenziali dei Comuni, di promuovere la cultura della partecipazione e coniugare l’innovazione tecnologica, per esempio lo sviluppo della telemedicina, all’attenzione per la risocializzazione dei piccoli centri, per l’accesso ai servizi e l’assistenza domiciliare – ha concluso Maciocia.
I temi toccati da questo primo intervento introduttivo della sessione sono stati approfonditi nella tavola rotonda “Salute e comunità. Empowerment e funzioni organizzative”. Silvia Di Passio ha parlato della sua esperienza come Community manager presso Sardarch, società cooperativa impegnata nella riattivazione dei territori in piccoli centri della Sardegna, quindi nella loro rivitalizzazione in termini di qualità della vita attraverso un coinvolgimento della popolazione. La pandemia – ha notato Di Passio – ha acceso un riflettore sui territori, di cui si parla troppo poco in un Paese come l’Italia, composto per il 70% da aree interne dove vive il 16% della popolazione. L’attenzione ai piccoli centri durante la pandemia – ha proseguito – è stata però caratterizzata da note troppo romantiche e idealizzate, perché se è vero che la qualità della vita nei piccoli centri è migliore per molti aspetti, è innegabile che permangono problemi strutturali fortissimi che riguardano la sanità, l’istruzione, i trasporti, le opportunità culturali, pur con le soluzioni migliorative offerte, a partire dal 2013, dalla Strategia nazionale per le aree interne. L’opportunità dei piccoli centri è accogliere nuovi cittadini temporanei, soprattutto giovani; ma quanto è sostenibile, per un giovane, rimanere nel lungo periodo nel piccolo centro? Quanto siamo disposti a mettere veramente il benessere al centro delle pianificazioni territoriali? Da questo punto di vista, ha concluso Di Passio, il lifelong learning è fondamentale per “riempire la parola comunità di significato”, per operare concretamente per la riattivazione sociale di gruppi di persone responsabilizzate, informate, che partecipino e avanzino proposte.
L’intervento di Liliana Ocmin, coordinatrice del Gruppo di lavoro dell’ASviS sul Goal 5 “Parità di genere”, si è incentrato sull’intensificazione delle diseguaglianze di genere e sul peggioramento della condizione femminile durante la pandemia, sia a livello occupazionale sia con riferimento al carico dei compiti di cura. Affrontare concretamente il tema della medicina delle differenze e del ruolo delle donne dal punto di vista della salute delle comunità – ha notato Ocmin - significa superare quel “welfare fai da te” che tampona il problema e lascia sole molte donne. La cura – ha concluso Ocmin – può essere volano dell’occupazione del presente e del futuro: da questo punto di vista, si rende necessario un investimento sul welfare di prossimità, sull’occupazione delle donne, sulla valorizzazione del mondo femminile dal punto di vista dello sviluppo del capitale umano.
Erio Ziglio, professore alla Health University of Applied science, FhG, Austria e alla Glasgow Caledonian University a Londra, ha riferito della sua partecipazione alla prima conferenza internazionale sulla promozione della salute tenutasi a Ottawa nel novembre 1986. In quell’occasione, ha raccontato Ziglio, con i 150 esperti presenti “definimmo la promozione della salute come il processo che permette agli individui e alle comunità di avere più controllo sui determinanti della loro salute, con il fine di migliorarla”. Dopo 35 anni, ha sottolineato Ziglio, siamo ancora lontani dall’applicazione concreta di un’efficace strategia di promozione della salute nei nostri territori: troppo spesso la comunità viene vista come una mera entità di consumo di servizi, e non come elemento centrale di produzione di salute, di lotta alle iniquità. L’auspicio – ha concluso Ziglio – è che l’istituzione delle “case delle comunità” stabilita dal Pnrr sia intesa come strumento di potenziamento dei servizi territoriali di prossimità, come parte di un grande processo di innovazione che impatti positivamente sulla vita delle persone, e che quindi le nuove strutture non siano relegate a piccoli ambulatori decentralizzati, ma diano invece concretezza locale ai diritti di cittadinanza, in un’ottica di riposizionamento della promozione della salute all’interno di una strategia di sviluppo sostenibile.
A introdurre la seconda sessione della giornata, dal titolo “Condizioni di vulnerabilità”, è stato Michael Marmot, direttore dell’Ucl Institute of health equity. Il Covid–19, secondo Marmot, ha messo in luce le diseguaglianze esistenti, amplificandole, e mostrando ancora più chiaramente come l’approccio medico e l’approccio sociale ai problemi siano solo apparentemente due livelli separati di analisi. Considerando che il gradiente sociale della mortalità per Covid è molto simile a quello della mortalità per le altre cause, per esempio, si capisce che le disuguaglianze cui abbiamo assistito nel periodo pandemico sono le stesse che si riscontrano nella sanità in generale, ha spiegato Marmot. È quindi necessario che le politiche colgano i gradienti sociali e che, in accordo con il principio dell’universalismo proporzionale, siano adeguate ai bisogni: a fronte di situazioni di maggiore deprivazione è necessario agire di conseguenza, per esempio non riducendo gli investimenti, ma aumentandoli. Mostrando diversi dati, alcuni dei quali tratti dal suo libro “The health gap”, Marmot ha proseguito spiegando come la salute sia misura del successo di una società: peggiore era l’andamento della sanità prima della pandemia, peggiore è stata la gestione della pandemia stessa. Dal punto di vista della governance, della cultura politica, dell’aumento delle diseguaglianze socio-economiche e della riduzione della spesa per i servizi pubblici, ha concluso Marmot, possiamo notare come non fossimo in buona salute già prima della pandemia.
A continuare la riflessione sulle persone in condizioni di vulnerabilità sono stati i partecipanti alla tavola rotonda “L’esperienza italiana”. Cristina Balest, educatrice presso SerSA - Servizi sociali assistenziali Srl, partecipata del comune di Belluno, ha parlato della sua esperienza di cura delle persone anziane in regime semi–residenziale, quindi nei centri diurni e attraverso l’assistenza domiciliare, riferendo dei molti servizi sospesi durante il periodo del Covid-19. La sospensione delle visite specialistiche e, in generale, del contatto diretto con la persona ha determinato mancanza di diagnosi, valutazioni fatte sulla base di documentazione sanitaria e non in presenza, la preferenza per soluzioni assistenziali fai-da-te e la perdita di autonomia funzionale e cognitiva degli anziani. Soprattutto durante i periodi di confinamento, e anche a causa della cessazione di ogni tipo di attività di volontariato – ha detto Balest - la pandemia ha creato grossi problemi tanto ai malati di demenza privi di supporto domiciliare quanto agli anziani nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa), catapultati in un mondo fatto di rigidi protocolli e privo della vicinanza dei familiari.
Fabrizio Starace, direttore del dipartimento di Salute mentale e dipendenze patologiche dell’Ausl Modena e consigliere Css, ha presentato un quadro sulla situazione relativa alla salute mentale prima e dopo la pandemia. Starace ha riferito che le indagini Istat sulla salute mentale nel periodo pre-Covid documentavano una prevalenza di disturbi psichiatrici comuni (ansia, depressione) in una percentuale che oscillava tra il 6 e il 7% della popolazione generale (oltre 3 milioni di persone). I 650mila accessi annuali in pronto soccorso per motivi di interesse psichiatrico documentano il “bisogno di salute mentale” in un Paese che spende tra il 3 e il 5% della spesa sanitaria complessiva per la salute mentale (a fronte, per esempio, del 12% previsto dal Regno Unito), e in cui è possibile notare un’ampia variabilità tra le Regioni, sia in termini di dotazione di personale e di strutture che di capacità di erogazione di interventi appropriati. Starace ha proseguito il suo intervento parlando del tema della salute mentale nei minori, la cui probabilità di sviluppare un disturbo psicologico o psichiatrico è negli ultimi dieci anni raddoppiata e il cui accesso a servizi di neuropsichiatria infantile e a percorsi terapeutici riabilitativi adeguati è molto spesso negato. L’incremento delle condizioni di disagio psichico, raddoppiato o triplicato nel periodo pandemico, pur essendo oggi in riduzione grazie all’allentamento delle misure restrittive, non ritorna tuttavia ai livelli pre–pandemia, ha detto Starace. Particolarmente significative le disuguaglianze interregionali: con riferimento ai casi di maggiore acuzia (Tso, trattamenti sanitari obbligatori), ad esempio, – i valori regionali variano da un minimo di quattro Tso per 100mila abitanti per i residenti in Friuli-Venezia Giulia o in Basilicata a 30 (oltre 7 volte) nella Regione Umbria. Si aggiungono importanti disuguaglianze documentate nei valori regionali relativi all’assistenza a medio e lungo termine nelle strutture residenziali. È dunque necessario – ha concluso Starace – rafforzare un sistema di welfare comunitario e territoriale, rilanciare la medicina territoriale, nucleo della missione salute del Pnrr, quindi la prossimità dei servizi, la domiciliarità degli interventi, intensificare e sostenere i servizi per la salute mentale, la neuropsichiatria infantile e le dipendenze, superando i limiti in termini di risorse e di capitale umano, formare professionisti in grado di strutturare un rapporto terapeutico, favorire una reale integrazione socio-sanitaria.
“Il Covid non si è inventato nulla, e ha solo squarciato il velo sulle nostre debolezze di sistema”, ha detto Ketty Vaccaro, responsabile Salute e sanità della Fondazione Censis, con riferimento ai temi trattati nei due interventi precedenti della tavola rotonda, quindi la cronicità e la non auto sufficienza che caratterizzano la terza età e la salute mentale. “I determinanti sociali di salute” – ha detto Vaccaro – “non solo ci sono, ma sono interconnessi”, e la pandemia ha mostrato come nell’intreccio di fragilità economiche, sociali e sanitarie abbia funzionato un meccanismo di rinforzo reciproco. Esempio drammatico, quello dei garantiti e non garantiti nel mondo del lavoro: i settori più colpiti dalla crisi pandemica – ha notato - sono quelli che erano fragili da prima, quindi giovani (che rappresentano la quota più alta di lavoratori atipici), donne (il divario tra tasso di occupazione maschile e femminile in Italia è stabile da anni ed è di 18 punti percentuali), e categorie di lavoratori precari. Il Covid ha dunque stressato, ma non creato, il combinato disposto di fattori di vulnerabilità: contesto, genere, età e condizioni economiche di partenza. Da questo punto di vista, ha concluso Vaccaro, “non è vero che con il Covid abbiamo avuto davanti una livella”: se guardiamo alle conseguenze più gravi della malattia notiamo una categorizzazione precisa in cui anziani e malati cronici sono stati i più colpiti. Il dato, dal punto di vista sociale, è importante perché la cronicità è una condizione in cui i determinanti sociali sono strategici. La pandemia ha quindi impattato sulle persone in condizioni di vulnerabilità penalizzando ulteriormente le loro condizioni di partenza, e rendendo necessaria e urgente un’azione concreta, di lungo periodo.
Giampiero Griffo, coordinatore dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, ha evidenziato come, durante la pandemia, le persone con disabilità siano state colpite in modo sproporzionato rispetto agli altri cittadini. Basti pensare che a maggio 2020 il 41% delle persone nelle Rsa sono morte di virus, e che più del 60% degli studenti disabili non ha potuto partecipare alle lezioni in Didattica a distanza. Ne deriva – ha detto Griffo – che il welfare di protezione, incapace di proteggere, deve lasciare posto a un welfare di inclusione che garantisca protezione e partecipazione, definendo e trattando la disabilità come prodotto sociale e non fattore individuale, come interazione tra le limitazioni funzionali dell’individuo e il modo in cui la società e l’ambiente garantiscono la sua piena partecipazione. Da questo punto di vista – ha continuato Griffo – è fondamentale la trasversalità: con riferimento al Pnrr, per esempio, l’accessibilità dei provvedimenti alle persone con disabilità dovrebbe riguardare tutte le missioni. Griffo ha concluso evidenziando che nel quadro descritto l’individuo non è, come nel modello di welfare protettivo, oggetto di intervento, quanto soggetto del cambiamento, da cui lo slogan – che è anche una metodologia - dell’Osservatorio: “niente su di noi senza di noi”.
La terza e ultima sessione dell’evento dedicata alla Salute globale è stata aperta dall’intervento di Stefano Vella, professore di Salute globale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha parlato di “Globalizzazione e malattie infettive”. Vella ha sottolineato come le malattie infettive seguano, o addirittura anticipino, i fenomeni legati alla globalizzazione. Se le malattie infettive sono indubbiamente legate a fenomeni quali quello dello spillover (il salto della specie, ndr), è vero che la loro diffusione è spesso dovuta a fenomeni molto più ordinari della globalizzazione, come viaggi, guerre, colonizzazioni, stili di vita. A questo proposito, Vella ha sottolineato che ci saranno altri spillover, per la preparazione ai quali è in corso un importante progetto finalizzato a mappare tutte le centinaia di migliaia di virus sconosciuti e presenti negli animali, e che è importante soffermarsi sugli stili di vita che sono legati alla diffusione, e non tanto all’origine, delle malattie infettive. La “lezione di umiltà” da trarre dall’esperienza della pandemia – ha concluso Vella dopo aver ripercorso la storia e gli esiti di diverse pandemie della storia – è che “non siamo invincibili”, e che è necessario prepararsi all’eventualità di nuove pandemie, creando una rete di sorveglianza capillare e di allerta rapida, operando affinché i vaccini possano essere prodotti nel minor tempo possibile, e possano poi essere distribuiti equamente: una sfida vergognosamente non accolta in questa pandemia.
Giovanni Baglio, direttore dell’Ufficio ricerca e rapporti internazionali dell’Agenas, ha notato come la pandemia sia stata vissuta all’insegna della separazione, provocando un’esperienza traumatica che però ha favorito lo sviluppo di un pensiero autenticamente socio-ecologico. Baglio ha ricordato come la salute, lungi dall’essere una questione solo interna agli esseri viventi, riguardi le relazioni dell’uomo con l’ambiente e dell’uomo con la società. Lavorare con i gruppi marginali, da questo punto di vista, è un’occasione per comprendere l’importanza della salute pubblica di prossimità, che fa riferimento al complesso delle relazioni che legano le istituzioni pubbliche, il privato sociale e le comunità come alleanza che va costruita e tessuta in modo ampio. Ripensare la salute in un’ottica di maggiore accessibilità e fruibilità significa dunque considerare la salute pubblica di prossimità come movimento anzitutto “proiettivo”, quindi come un’azione vòlta ai servizi domiciliari, all’offerta attiva di prestazioni sanitarie, a misure preventive e al raggiungimento delle persone, e poi come “movimento riflessivo e di ritorno”, in cui il servizio “torna dentro le mura e si ripensa nella presa in carico”: in questa dialettica circolare con il territorio, le comunità non sono avulse e vengono coinvolte in processi di empowerment.
Alessandro Messeri, Istituto per la bioeconomia (Ibe-Cnr) e Fondazione per il clima e la sostenibilità, ha parlato degli effetti del cambiamento climatico sulla salute umana, sottolineando come sia ormai necessario sviluppare strategie di adattamento per fronteggiare i cambiamenti climatici. Le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera, di cui sono responsabili diversi settori economici, influenzano il clima e la salute a più livelli, in maniera diretta e indiretta. Tra gli effetti indiretti – ha spiegato Messeri – l’acidificazione degli oceani causata dalle emissioni di gas serra determina una riduzione del pescato e un impatto sulla distribuzione degli alimenti. Effetti diretti del cambiamento climatico sulla salute sono le ondate di calore, le patologie dell’apparato respiratorio determinate dalle emissioni inquinanti, le allergie e l’aumento di malattie trasmesse da vettori causate da diffusioni anomale di pollini, le migrazioni di massa da aree non più abitabili, lo sviluppo di conflitti. Infine – ha concluso Messeri – è importante considerare che l’80% della mortalità dovuta a ondate di calore nelle isole di calore urbane si verifica in Europa. Tra le categorie più colpite, oltre ad anziani e bambini, i lavoratori, che rischiano sempre di più seri infortuni sul posto di lavoro dovuti a estremi termici legati al freddo e, soprattutto, al caldo.
Ad aprire la tavola rotonda “Globalizzazione ed esperienze sul campo” è stato un applauso a Gino Strada, fondatore di Emergency, nel ricordo del suo “impegno per costruire un mondo di pace”, ha detto Laura Berti. Sara Albiani, policy advisor sulla salute globale di Oxfam, ha sottolineato le profonde disuguaglianze nella distribuzione e nell’accesso ai vaccini dei Paesi a basso reddito. Albiani ha ricordato come il sistema monopolistico basato sui brevetti dei vaccini e detenuto dalle case farmaceutiche, facendo sì che solo le case possano produrli stabilendone i prezzi, impedisca a questi Paesi di acquistarli. A livello globale, quindi, è urgente sospendere i brevetti sui vaccini, una soluzione temporanea ma indispensabile da accompagnare tanto a una condivisione tecnologica che consenta alle imprese di produrre i vaccini, quanto a un investimento nella capacità manufatturiera dei Paesi a basso e medio reddito. Secondo Albiani, in casi di emergenza, e a fronte della situazione attuale, deve essere possibile sospendere le regole che tutelano la proprietà intellettuale, e avere il coraggio politico di assumere decisioni forti per dare concretezza al principio secondo cui la salute è un bene pubblico globale.
Rossella Miccio, presidente di Emergency, ha sottolineato come il Covid abbia rappresentato un’emergenza nell’emergenza, e come la disuguaglianza sia un elemento strutturale delle comunità. Con riferimento al tema dell’accesso ai vaccini – ha evidenziato Miccio – non ci rendiamo conto che il virus continua a girare, che circolando muterà e che nessuno può escludere che ritorni più aggressivo. È necessario un cambio di paradigma che, in fondo, neanche una pandemia che ci ha tenuto confinati e bloccati è riuscita a produrre: “tante parole” – ha detto Miccio – “ma nella pratica l’uguaglianza dei diritti, negata e calpestata, è ancora lontana dall’essere patrimonio di tutti”.
Anche Aldo Morrone, direttore scientifico Ircss San Gallicano e Iismas - Istituto internazionale scienze mediche antropologiche e sociali, ha evidenziato come la pandemia abbia inasprito disuguaglianze già esistenti, e ribadito l’importanza dei determinanti sociali di salute, anzitutto la povertà, e del legame tra l’Obiettivo 3 dell’Agenda Onu 2030 e gli altri Obiettivi di sviluppo sostenibile. Per esempio, con riferimento al Goal 6 “Acqua pulita e servizi igienico–sanitari”, Morrone ha notato come milioni di bambini muoiano per malattie veicolate dall’acqua, per sconfiggere le quali basterebbe garantire loro l’accesso all’acqua potabile. Lo stesso investimento finanziario, tecnologico e scientifico sul vaccino del Covid – ha detto Morrone - è stato enorme perché lo chiedeva il Nord del pianeta. Un caso evidente di forte iniquità preesistente alla pandemia in ambito sanitario, ha notato Morrone, è il fatto che le persone che vogliono essere curate prima, nel nostro Paese, paghino le visite di tasca propria; da questo punto di vista il Pronto soccorso è il sistema più eguale, “dove arriva l’industriale come il barbone”. Eppure, una volta fuori dal pronto soccorso, non c’è integrazione sanitaria. La pandemia ha messo in risalto la situazione drammatica del Sud del mondo, delle persone impoverite, con la pensione minima, detenute o senza fissa dimora. A questo proposito, la campagna “Io resto a casa”, secondo Morrone, non ha considerato l’enorme numero di persone senza tetto che non potevano aderirvi. Il servizio sanitario italiano, pur rimanendo uno dei migliori al mondo, non può permettersi di lasciare indietro le persone marginali, fragili – ha concluso. Fondamentale in questo quadro è che i medici, troppo spesso ormai considerati come componente ragionieristica dell’azienda, incuranti della dignità della persona malata e più attenti al profitto tecnologico e farmacologico, riacquisiscano capacità di autorevolezza.
In conclusione dell’evento, Carla D’Angelo, coordinatrice del Gruppo di lavoro ASviS sul Goal 3 e membro della Commissione centrale medica del Club alpino ataliano – Cai, ha discusso i principali dati e le maggiori proposte presentate dal Gruppo di lavoro nel Rapporto ASviS 2021. Raffaella Bucciardini, coordinatrice del Gruppo di lavoro ASviS sul Goal 3 e ricercatrice presso l’Istituto superiore di sanità - Iss, ha notato come sia necessario passare dal piano della consapevolezza a quello dei fatti, auspicando una messa a terra delle principali proposte emerse durante il Festival dello Sviluppo Sostenibile dell’ASviS e avanzate nel Rapporto. Carla Collicelli, senior expert relazioni istituzionali dell’ASviS e referente del Segretariato ASviS del Gruppo di lavoro sul Goal 3, ha sottolineato come la nuova e più diffusa consapevolezza su temi da sempre cari al Gruppo di lavoro sia un’opportunità, per gli Aderenti all’ASviS, per continuare a lavorare in sinergia, avanzando proposte e diffondendo la consapevolezza di un approccio integrato alla salute.
Scarica il manifesto "Insieme per la salute del futuro"
di Mariaflavia Cascelli