Strategie d’impresa e normative europee all’insegna della sostenibilità
Sinergia pubblico-privato, investimenti green, reporting non finanziario, tassonomia europea: all’evento su finanza e imprese del Festival, una panoramica degli strumenti finanziari a disposizione per uscire dalla crisi. 9/10/21
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L’evento nazionale “Le imprese di fronte agli Obiettivi dell'Agenda 2030: le nuove sfide della regolazione europea e di Next generation Eu” del Festival dello Sviluppo Sostenibile si è tenuto il 6 ottobre dalle 15:30 presso l’auditorium del Palazzo delle Esposizioni di Roma e in diretta streaming. L’incontro si è svolto in collaborazione con Mediocredito centrale - Invitalia e con Bain & Company come tutor. Diviso in due panel moderati da Francesco Timpano, coordinatore del gruppo di lavoro ASviS “Finanza per lo sviluppo sostenibile”, e da Elisa Petrini, coordinatrice del gruppo di lavoro ASviS “Associazioni di impresa per l’attuazione del Patto di Milano” (a rappresentare i due Gruppi ASviS che hanno curato l’iniziativa), l’evento ha affrontato due macro temi: la discussione sull’evoluzione normativa europea dell’Action Plan sulla finanza sostenibile e il ruolo della finanza sostenibile pubblica e privata all’interno del Next Generation Eu e del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
Il presidente dell’ASviS Pierluigi Stefanini ha introdotto l’evento, portando l’attenzione sui dati e sulle considerazioni emerse nel sesto Rapporto ASviS, presentato il 28 settembre 2021, che vedono l’Italia in una fase di arretramento socio-economico dovuto alla pandemia di Covid-19, alla quale è necessario rispondere con i numerosi strumenti messi in campo dall’Italia e dall’Europa.
Oltre all’applicazione delle normative europee per la finanza sostenibile da parte di tutte le aziende, incluse le piccole e medie imprese, ha affermato Stefanini, è necessario rendere complementari finanza pubblica e privata, contrastare il greenwashing e il social washing, allinearsi all’Europa nelle richieste di trasparenza nel reporting e nell’uso di tassonomie comuni, e dare sostegno ed educazione ai cittadini sulla finanza sostenibile.
Il panel “L’impatto del processo di attuazione dell’Action Plan sulla finanza sostenibile” moderato da Francesco Timpano, si è aperto con l’introduzione di Giuseppe Siani, responsabile del dipartimento di vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia, che ha parlato delle tre principali conseguenze della pandemia di Covid-19 sul mondo della finanza: la messa in discussione dei modelli di business, l’apertura di nuovi mercati e la ricerca di uno sguardo di lungo periodo.
“I costi della transizione sono alti”,- ha commentato Siani- “ma è necessario lo sforzo di tutti per dare un contributo alla sostenibilità”, anche grazie agli strumenti forniti dall’Europa, come il piano d’azione per la finanza sostenibile e la tassonomia comune per il reporting finanziario e non finanziario, esteso alle piccole e medie imprese a partire dal 2026.
Partendo, invece, dal lavoro di Febaf (Federazione banche assicurazioni e finanza), di cui è direttore operativo, Gianfrancesco Rizzuti ha ribadito i tre perni della strategia europea per lo sviluppo sostenibile: la tassonomia, la disclosure (la divulgazione) e il benchmark (il confronto), al fine di unificare i mercati di capitali.
Uno dei temi caldi menzionati da Rizzuti è stata la raccolta e la trattabilità dei dati, che devono essere univoci, trasparenti e comparabili; e poi quello del principio di proporzionalità, caro a Febaf, per cui alle piccole imprese corrispondono piccoli sforzi, e la necessità di un approccio prudenziale nella transizione, che vede nell’“obbligo volontario” del reporting non finanziario un nuovo campo competitivo per le aziende.
A conclusione del primo panel è intervenuto Umberto Filotto, segretario generale di Assofin, coinvolto in uno studio di ricerca con Bocconi School of Management e Crif sul credito al consumo. “I consumi (sostenibili) sono la parte terminale del tema dell’ambiente”, ha affermato Filotto, e per questo è importante volgere lo sguardo ai beni finanziati tramite il credito che sono in aumento: nei bilanci del 2020-2021, infatti, sono stati stanziati tra i 110 e 115 miliardi di euro di credito, di cui una parte è stata destinata al green. Secondo i dati riportati da Filotto, inoltre, l’81% degli operatori finanziari afferma di essere proprietario di credito green e nel 60% dei casi si tratta di alte cariche all’interno delle aziende. Questa diffusione di credito green da parte degli operatori finanziari è motivata dagli aspetti normativi e dal miglior posizionamento reputazionale sul mercato, che rende gli operatori leader nei consumi del futuro, ha spiegato Filotto.
Secondo i dati dello studio della Bocconi, inoltre, tra i consumatori si registra un interesse generale per il green, tanto che l’87% degli intervistati afferma di essere interessato agli impianti di nuova generazione e il 76% all’auto ibrida, ma la maggioranza afferma di non voler sopportare i costi del green.
Ad aprire il secondo panel “La finanza pubblica per gli SDGs: l’impatto del Pnrr sull’economia e la società italiana” moderato da Elisa Petrini, è intervenuto Marco Leonardi, capo del dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica presso il ministero dell’Economia e delle finanze, in un intervento all’insegna della “consapevolezza”, parola chiave dell’intero evento, più volte sottolineata dai moderatori dell’incontro.
Nel suo intervento, Leonardi ha parlato della necessità di rendere complementari la finanza pubblica e la finanza privata nella transizione e l’importanza di criteri di sostenibilità atti a ridurre il fenomeno del greenwashing, grazie alla tassonomia europea, al quadro di riferimento per le imprese e agli strumenti di investimento.
La fase di cambiamenti in cui ci troviamo riguarda quattro ambiti, secondo Leonardi: la transizione all’economia reale della sostenibilità, grazie a strumenti come il Pnrr, che interessa un milione di imprese, di cui l’88% piccole e medie imprese; l’aumento dell’inclusività della finanza sostenibile alle piccole e medie imprese per incoraggiare tutte le imprese ad aderire; la misurazione della resilienza del settore finanziario rispetto al cambiamento climatico per un finanziamento a lungo termine; il rafforzamento del consenso internazionale sulla sostenibilità.
Oltre al Pnrr, gli strumenti a disposizione delle aziende per la transizione alla finanza sostenibile sono diversi, tra cui la pubblicazione dei bilanci non finanziari, il piano per il Sud 2030, i social impact bond e le partnership tra pubblico e privato (ppp).
A mostrare il punto di vista delle aziende è intervenuto Roberto Prioreschi, managing director Bain & Company Italia e Turchia, che ha parlato del nuovo interesse dei ceo aziendali per l’aspetto sociale dei criteri Esg (ambiente, società, governance), come segnale di cambiamento rilevante. Inoltre Prioreschi ha parlato della necessità di “fare sistema” e creare una filiera tra il settore pubblico e il settore privato, alla luce delle nuove strategie messe in campo dall’Italia e dall’Europa, per generare un effetto immediato nella fruibilità delle risorse e un cambiamento di lungo periodo.
A illustrare, invece, l’importanza della tassonomia è stata Gaia Ghirardi, responsabile della sostenibilità di Cdp (Cassa depositi e prestiti) e observer della DG Fisma Platform, che ha descritto i benefici dell’uso della tassonomia comune nel reporting aziendale non finanziario, tra cui la gestione migliore dei rischi, il vantaggio per i mercati finanziari nella scelta di investimenti green, la maggiore trasparenza sui risparmi e sugli investimenti e la conseguente maggior fiducia nel sistema da parte della società, la maggior attrazione di capitali rispetto alle imprese straniere e la gestione più trasparente e d'impatto del social washing.
Secondo Elena Di Giovanni, vicepresidente e co-fondatrice di Comin & Partners, all’interno del framework di riferimento dei criteri Esg, le aziende cominciano a dare maggiore importanza all’aspetto sociale, come dimostra il fatto che l’Europa sta lavorando su tutti i Goal dell’Agenda 2030 e anche in Italia si fanno passi avanti in questo senso.
Il Pnrr, infatti, si presta a colmare il gender gap, grazie a un piano strategico per la parità di genere, che prevede la promozione dell’imprenditoria femminile e la certificazione di genere, una patente alle imprese sulla parità di genere.
A seguito della pandemia, ha spiegato Di Giovanni, il dato sull’impiego femminile è sceso al 48%, e per questo si rende necessaria una tassonomia sociale all’interno dei bilanci di genere nel reporting non finanziario, già messa in campo efficacemente dalle Regioni.
Claudia Morich, direttore generale della direzione centrale di finanza, bilancio e controlli della Regione Liguria, ha confermato l’importanza del ruolo delle pubbliche amministrazioni nel Pnrr e il ruolo centrale delle Regioni nel superamento della crisi causata dalla pandemia di Covid-19, come già è avvenuto a seguito della crisi del 2008.
Con il Pnrr, ha affermato Morich, “le Regioni avrebbero voluto maggiore coinvolgimento nella stesura del Piano” per essere coinvolte di più a livello normativo, poiché il coinvolgimento degli amministratori giova alle strategie per lo sviluppo sostenibile. Nella Regione Liguria, infatti, è stata realizzata una strategia vincente con “gambe finanziarie”, che collega gli SDGs all’emissione del bilancio regionale per monitorare la realizzazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile.
A conclusione dell’evento è intervenuto, infine, Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere, che si augura tempi brevi per l’attuazione del Pnrr, al fine di rigenerare i nodi strutturali del Paese. “Le misure del Pnrr - ha affermato Tripoli - richiedono scelte consapevoli e attuazioni rapide, per numeri alti di imprese”, insieme a un affiancamento mirato alle piccole e medie imprese, per sostenerle nella transizione tecnologica. “C’è una diffidenza diffusa verso la green economy, nonostante ci siano 400mila aziende che hanno investito in questo settore” - ha aggiunto Tripoli - "C’è un bacino enorme di aziende da coinvolgere e questo è il momento storico per cogliere questa sfida, tramite le realtà regionali e di territorio”.
Le difficoltà per l’attuazione della green economy, ha concluso, riguardano la mancanza di competenze professionali nell’adeguamento all’innovazione, la difficoltà nel reperire figure professionali adeguate e la fuga di investimenti all’estero, poiché in Italia non c’è abbastanza offerta in questo senso.
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di Viola Brancatella